LE CERAMICHE

Il criterio espositivo accosta manufatti di diversa provenienza per cogliere l’evoluzione dei principali motivi decorativi che hanno caratterizzato lo sviluppo dell’arte e dell’artigianato artistico mediterraneo. Il primo percorso si concentra sul segno, ed è dedicato all’evoluzione dei motivi decorativi presenti in manufatti di varia provenienza: decorazioni di ispirazione naturalistica e figurativa, o astratta e geometrica. Ne sono esempio i vasi palermitani, trapanesi e calatini del XVII secolo, caratterizzati da decorazioni vegetali, a trofei, da medaglioni con profili di guerrieri o di poeti come i due cilindroni di Sciacca, raffiguranti i profili di uomini in abiti classici. A questi sono accostate le ceramiche tunisine provenienti da Qallaline, e quelle marocchine. Alcuni oggetti rivelano le influenze della manifattura turca di Iznik, altre quella italiana. Di particolare interesse sono: il piatto da couscous, prodotto a Fes nel XVII secolo, con il raro motivo ornamentale della piuma e il pannello parietale tunisino che raffigura un vaso con complessi elementi vegetali all’interno di un’architettura. Di particolare efficacia risulta l’accostamento di un elemento decorativo comune alla ceramica dei paesi del Mediterraneo, l’uccello raffigurato in volo; il motivo appare tanto sul mattone seicentesco di Sciacca, quanto nel piatto dipinto a lustro di produzione valenzana (Spagna). La produzione di manufatti raffiguranti elementi geometrici, originaria soprattutto dei paesi di cultura islamica, è di notevole interesse e si riscontra tanto nelle decorazioni dei gioielli che dei vestiti e delle ceramiche. Questi segni riproducono nei secoli regole e codici precisi, alcuni evocano elementi protettivi, o di buon auspicio per chi possiede l’oggetto. Le popolazioni berbere del Sahara producevano una ceramica cotta al sole che, se era manufatta dagli uomini era venduta all’esterno, se invece era realizzata dalle donne era decorata con simboli apotropaici ed era riservata all’uso domestico. Gli stessi segni erano utilizzati nei tatuaggi dipinti con l’henné sulle mani e sul volto, o ricamati sui vestiti delle donne tunisine, marocchine ed algerine.

Un altro notevole elemento di confronto è l’uso decorativo della scrittura: i versetti coranici o le iscrizioni augurali sono iscritti su ceramiche, tessuti e gioielli. Ne è un esempio raro la giara in terracotta a stampo, realizzato in Spagna intorno al XIII XIV secolo, decorato da una fitta e sottile sequenza di motivi calligrafici e vegetali. Risale allo stesso periodo la collezione di ciotoline e boccali spagnoli, chiamati “tipo Pula”, decorati in blu e a lustro, con disegni d’ispirazione ispano-moresca, geometrica o floreale stilizzata con alcuni motivi decorativi della pseudo-scrittura sul bordo. Si tratta di segni dalle valenze simboliche, dal significato iniziatico non sempre decifrabile; il tema si presta al confronto con i segni calligrafici ricorrenti sulle ceramiche progettate da Carla Accardi, Pietro Consagra e Arnaldo Pomodoro. Le ceramiche tunisine degli inizi del XX secolo, mostrano forme e decori tradizionali pur introducendo innovazioni laddove l’artigiano segnala il nome proprio, del laboratorio e la città di provenienza, come nel caso degli Ateliers Kharaz o Ateliers De Verclos Nabeul“ (Tunisia). 
Un altro percorso virtuale riguarda la forma e l’uso degli oggetti. Il confronto inizia con gli oggetti più antichi come le terrecotte preistoriche provenienti dagli scavi dell’area trapanese, riconducibili alla facies di Castelluccio (Gela, II millennio a.C.); prosegue con esempi di terracotta di uso popolare, provenienti da Mazara del Vallo, dalla Tunisia, dal Marocco del XIX e XX secolo. Gli oggetti evidenziano la comune origine; quelli di uso quotidiano, quali le anfore, le giare, gli orci e le brocche, conservano forme simili per secoli, anche se in alcuni paesi emerge l’uso di manufatti tipici.

Il garour, ad esempio, è un contenitore conico adatto alla pesca dei polpi in Tunisia; mentre la baratte è un recipiente cilindrico con le estremità arrotondate, usato per fare la sugna dal grasso di montone in Egitto.  Gli artigiani nei diversi paesi hanno in comune molte tecniche perché nascono dalle stesse esigenze; questo è il caso della lavorazione dell’argilla in Tunisia e in Sicilia (Sciacca). Entrambi i paesi sono poveri d’acqua pertanto l’argilla estratta dalle cave si lava con l’acqua di mare. Dopo la cottura, il sale imbianca la terracotta perché rimane imprigionato nell’argilla. Anche la forma dei piatti può essere oggetto di confronto: conica su un piedistallo per il couscous, mentre quella per il tajine è piatta con una robusta tesa per trattenere il sopra coperchio. I fangotti siciliani di grandi dimensioni in passato erano usati per la preparazione dell’estratto di pomodoro o come piatto di portata. In tutta l’area i contadini e i poveri mangiavano insieme da un unico piatto posto al centro della tavola. Il museo conserva anche oggetti di particolare interesse antropologico come le piccole fornacelle di terracotta usate dai nomadi del Sahara e dai pastori del Mediterraneo; il forno d’argilla con la bocca centrale posta nella parte superiore diffuso in India, nei paesi mediorientali ma anche nelle campagne siciliane dove, fino al secolo scorso, era chiamato tannuri (dall’arabo tanawwara, illuminarsi da fuoco). Il museo di Gibellina dispone di officine-laboratori per studiare e realizzare nuovi oggetti, che dall’analisi della decorazione e delle forme tradizionali, acquisiscono tecniche antiche e modelli funzionali. 

Maria Reginella 

LA COLLEZIONE TESSILE

La collezione di manufatti tessili è composta da costumi, frammenti rari e accessori prodotti da grandi scuole e di semplice fattura popolare; gli oggetti sono databili entro un arco cronologico che va dal XVIII al XX secolo, e provengono da diverse aree geografiche del bacino del Mediterraneo.
La raccolta, sollecitata dagli studi e dalle ricerche di Francesca e Antonella Corrao, è costituita dalle acquisizioni di Ludovico Corrao fatte nel corso delle numerose visite all’estero, soprattutto in Tunisia dove ha creato la sede di Dar Bach Hamba, nel cuore della Medina di Tunisi.
Un importante contributo viene anche da collezionisti privati e istituzioni pubbliche straniere,  che in occasione di speciali esposizioni hanno donato abiti e oggetti alla collezione. 
La presenza della civiltà islamica nella regione ha funzionato da elemento unificante e conservativo, anche se alcuni costumi mantengono caratteristiche tipiche locali. La civiltà islamica ha gelosamente conservato le tradizioni permettendo così di rintracciare antiche tecniche di tessitura e di lavorazione del ricamo, ma anche i metodi per la colorazione dei filati o delle pezze; è possibile individuare anche i motivi decorativi di origine greca e persiana. La struttura di molti costumi è fondata su tagli geometrici ed essenziali, che conferiscono all’indumento un aspetto bidimensionale. La differenza tra l’abito sontuoso e quello povero consiste soprattutto nella preziosità dei tessuti e dal fasto dei ricami. L’uso di camicia e calzoni è invalso per entrambi i sessi, salvo ad essere ricoperti da ampie sopravvesti, che nella donna sono scollate e strette al busto. Il manto e il velo assieme agli ornamenti sono elementi distintivi dell’abbigliamento femminile.
L’uso di ampi tessuti drappeggiati, che suggeriscono riferimenti alla tradizione classica greco-romana, è molto diffuso. Il caftano è il capo d’abbigliamento ancora oggi più usato nell’area mediterranea. Originario della Persia, è uno degli indumenti più antichi dell’abbigliamento orientale. Indossato indifferentemente da uomini e donne, funge da soprabito ed è indossato a copertura di altri indumenti (camicia, tunica, pantaloni). Non ha colletto e scende morbido fino ai piedi come una lunga camicia senza tagli dalla spalla a terra. Aperto sul davanti, solitamente ornato da alamari (bottoni ricoperti da filo intrecciato) ha lunghe e larghe maniche. I caftani della collezione mostrano le diverse fogge che caratterizzano le esigenze quotidiane o festive e le peculiarità dei vari popoli dell’area mediterranea.

I preziosi caftani turchi, eredi dell’antica e sontuosa tradizione bizantina, poi ottomana, sono rappresentati da esemplari in velluto di seta, nelle intense colorazioni bordeaux, viola o azzurro. Sono decorati da ricchi ricami eseguiti con filati d’oro o argento a motivi floreali, di gusto marcatamente occidentale, che si sviluppano simmetricamente su ampie partiture interne. Il linguaggio decorativo turco, attraverso l’esteso dominio dell’Impero Ottomano, ha influenzato notevolmente anche la produzione del ricamo e in genere la cultura tessile di buona parte dell’Europa Orientale, in particolare quella dei Balcani. Molti ambasciatori stranieri ricevevano in dono pregiati costumi e caffetani turchi, sempre ricoperti da preziosi ricami con filati metallici, tradizionalmente eseguiti da artigiani uomini. Nel XVIII e XIX secolo intrecci e cordicelle (spighette dorate o colorate) erano applicati su disegni elaborati e poi meticolosamente copiati in diverse culture: quella greca, quella albanese, e quella mitteleuropea.
Uno dei nuclei più ricchi della raccolta è costituito dai costumi e dai tessuti tunisini, che provengono sia dalle città costiere che dai centri interni. Il costume tunisino è frutto dell’incontro di influenze culturali ereditate nel corso della storia dalle popolazioni che hanno dominato il paese. Le antiche tradizioni che vanno dai costumi berberi a quelli fenici, poi romani ed infine islamici hanno dato al prodotto locale caratteristiche peculiari. A questa tradizione si sono poi unite quelle delle popolazioni provenienti dall’Andalusia e infine dall’Asia centrale durante il dominio ottomano, portando con sé novità nelle forme, nei simboli e nei modelli. La tradizione classica greco-romana della veste drappeggiata sopravvive nell’abbigliamento rurale femminile, soprattutto tra i berberi; mentre l’influenza mediorientale connota l’abito cittadino raffinato nelle tecniche di tessitura, del ricamo e nei motivi decorativi “arabeschi” (geometrici, calligrafici, floreali). Gli abiti nuziali femminili del XIX e XX secolo sono i più significativi; includono ampi pantaloni dal cavallo basso, camicia dalle maniche ampie di forma trapezoidale, o a sbuffo, la jebba (una sorta di gilet), un ricco copricapo, o più spesso da un diadema. Gli abiti sono tutti ricoperti da un fitto ricamo in filati di oro e argento, con diverse varietà di applicazioni. Il costume femminile, è in generale il più vistoso. Il museo ha una ricca raccolta di esemplari del XIX secolo provenienti dalle popolazioni beduine africane; vi sono grandi drappi rettangolari bakhnougeu impiegati come copricapo o come mantello, tessuti con lana e decorati da fili di cotone policromo a motivi geometrici, spesso simmetrici, profilati alle due estremità da lunghe frange. I colori, ottenuti con tinture naturali, sono prevalentemente il blu, il rosso rubino, il violaceo.

Di grande interesse è anche la farmla, un corto gilet femminile realizzato spesso in velluto di seta, aperto sul davanti, con scollatura ogivale e alette in corrispondenza dell’apertura manica. Spesso è rivestito da applicazioni ricamate di spighette dorate o argentate e cordoncini, mentre le strutture interne ed il perimetro sono segnati da ricchi galloni; lungo lo scollo compaiono spesso alamari dorati. Numerosi capi della raccolta provengono dalla Siria, dalla Giordania, dalla Palestina, dallo Yemen e dall’Egitto, dove le popolazioni rurali hanno sviluppato un proprio particolare stile di vestiario, e l’uso di sovrapporre diversi capi. I tessuti sono spesso realizzati o ricamati localmente. Alcuni elementi come le sciarpe sono prodotti nei grandi centri urbani ma anche diffusi, per la grande richiesta, in altri paesi,  come è il caso delle sciarpe di seta colorata di “Aleppo” .
Le antiche origini e l’uso delle partiture decorative tipiche della tecnica del ricamo consentono di trovare ulteriori relazioni tra i manufatti conservati nel museo.
Il ricamo ha impegnato nella storia tessile entrambi i sessi in differenti specializzazioni. A seconda delle zone geografiche il ricamo può essere presente con la tecnica ad applicazione o essere eseguito in fili di seta o in cotone policromo, in filati metallici e applicazioni di spighette e cordoncini. La lavorazione cambia nelle diverse aree geografiche: il punto “croce” prevale in Siria, Palestina, Giordania ed Egitto. I punti “pieno”, “steso” e “catenella” sono diffusi in Marocco e Tunisia, così come l’applicazione di spighette e cordoncini. Questo genere di rifiniture, insieme al ricamo a “tambur” compaiono anche in altre aree di influenza ottomana come si evidenzia nel costume albanese, in quello greco e in quelli balcani.

Roberta Civiletto

I GIOIELLI

La collezione è considerata una delle più originali del Mediterraneo poiché include preziosi che testimoniano le numerose corrispondenze tra i manufatti dei diversi popoli della regione. L’esposizione rivela le reciproche influenze e le esclusive peculiarità sul piano delle tecniche, dei materiali e delle forme. La perlinatura, la filigrana, l’intaglio, il cesello, il niello sono alcune delle tecniche utilizzate per realizzare i gioielli tanto dagli orafi andalusi quanto dai palermitani, dai Cabili d’Algeria e dai maestri di Damasco e di Sana’a.

Nelle diverse culture si osservano similitudini anche per la funzione che i gioielli assolvono sul piano sociale e rituale; le concordanze si estendono nel campo figurativo e anche negli aspetti decorativi apotropaici. La virtuosa lavorazione della filigrana impreziosisce sia i monili creati in Yemen che quelli del Maghreb e li connota per la specificità della manifattura ebraica. 

Dalla raccolta spiccano per sontuosità e ricchezza i gioielli algerini dello Beni Yenni in argento cesellato ornato con filigrana di particolare pregio, corallo e smalti, secondo una tradizione che risale all’alto medioevo.

Le carovane che dall’India attraversavano lo Yemen e poi risalivano per le coste mediterranee approdavano anche in Sicilia. L’isola, al tempo della dominazione musulmana, era luogo di transito per i pellegrini che si recavano dall’Andalusia alla Mecca e per i commercianti interessati ad acquisire il pregiatissimo corallo trapanese. Le tecniche di lavorazione dei gioielli sono comuni a tutti i popoli dell’area mediterranea che sono stati in contatto con la civiltà islamica.

La perlinatura dell’argento, la filigrana, l’intaglio, il cesello, e l’intarsio con corallo e ambra sono elementi caratteristici.
Altra specificità è l’uso degli smalti secondo diversi modelli, che in parte riprendono la tradizione bizantina e in parte accolgono la successiva elaborazione dell’arte decorativa ottomana. I vari colori usati per gli smalti spesso definiscono la provenienza. La particolare lavorazione della filigrana, impreziosisce i monili provenienti dalla Turchia e dal Medio Oriente e li distinguono per virtuosismo.

Anastazja Buttitta