Alcune delle tue opere indagano su quello che e il confine tra reale e virtuale. Ricordo i tuoi video a cui dai vita con interventi cromatici come se solo il colore e l’intervento artistico potesse rigenerarli o anche il tuo “ Confine “ opera del 2014 dove due sentinelle stanno a guardia di un limite invalicabile, ma che si traguarda.
Quale il confine?
Sotto i panni dello stile c’è un corpo fisico che pulsa in ogni mio lavoro. E c’è una natura erotica e vitalistica alla base del gesto pittorico, e sottolineo ‘gesto’ perché la pittura e l’arte in generale sono, all’origine, gesti primordiali e perpetui in continua relazione ed evoluzione con la storia. Il corpo dell’arte ha bisogno di essere circuíto, toccato, riconosciuto e vivificato. La sua rappresentazione virtuale alternativa o sostitutiva di quella fisicità porta l’oggetto creativo in una dimensione onanistica, vouajeristica. come se un giorno ci chiedessero di rivedere tutti i nostri amplessi felici e infelici attraverso degli mp4, anche in HD. È questa la linea di confine tra “il dentro” e “il fuori”, proprio come le mie sentinelle del quadro che citi, che presidiano il confine tra il caos interno della vita e la sua proiezione virtuale. Forse è bene che queste due forme rimangano intimamente separate, senza troppe illusioni di consanguineità. In questi giorni è bene ricordarcene.
Altro binomio scuola e museo. Due luoghi, che in questa nuova e impensabile condizione si mostrano come luoghi dell’anima e dello spirito. Necessari, quanto fragili e delicati nella loro storica configurazione che ha sempre presupposto il rapporto fisico tra maestro e allievo e tra opera e utente. Cosa sta accadendo?
Stanno accadendo cose piacevoli e spiacevoli contemporaneamente (sicuramente interessanti): quei miei allievi che reagivano al rapporto fisico con l’apprendimento, con il dialogo educativo, in modo ribelle, antagonistico o più semplicemente indisposto, oggi con la didattica a distanza sono più disponibili ad apprendere e a farsi partecipi e produttivi. In pratica stanno negando la tua fisicità, la tua presenza fisica nelle loro vite quotidiane. Quanti invece si trovavano ben disposti prima, oggi ti comunicano la loro nostalgia dei giorni della scuola fisica del rapporto umano diretto. Spero che mai passi il messaggio che si possano colmare le lacune emotive, culturali e sociali infilandosi nel “raggio verde” di quel film di Rohmer ispirato dal romanzo di Giules Verne. Mi viene da evocare in chiusura, un’altra mia opera del 2015 “Getsemani”, un’allegoria, un vero presagio: un gruppo di discienti si addormenta mentre i loro computer vegliano sul loro sonno. Soltanto uno ha il privilegio, il lusso, di una visione: è un giovane incoronato di spine che veglia su tutti.
Alfonso Leto si forma alla fine degli anni Settanta, a Palermo, segnata dalle presenze di Toti Garraffa, Gaetano Testa, Francesco Carbone, Giacomo Baragli. Dopo aver assunto e rielaborato lo spirito della Transavanguardia, espone le sue opere, nell’antico eremo della Quisquina, presentato da Achille Bonito Oliva e da Fulvio Abbate, nel 1987. Il suo lavoro si evolve assumendo forme sempre nuove che però privilegiano la pittura nell’equilibrio continuo tra concetto e stile.Numerose sono negli anno le sue partecipazioni a mostre personali e collettive in Italia e all’estero.
Tra le ultime ricordiamo “Zarathustra a Gibellina”, installazione nel contesto di “L’albero della Cuccagna” a cura di Achille Bonito Oliva e nel 2018 la sua mostra retrospettiva “Alfonso Leto XL opere scelte 1977-2017”, presentata a Palazzo Sant’Elia, a cura di Marco Meneguzzo, prodotta ed edita dalla Fondazione Orestiadi di Gibellina, inserita nel programma di Palermo 2018 capitale della cultura.
Alfonso Leto, Getsemani, 2015
olio su tela cm 184x 245