Fare a meno dei musei, per ora. Fare a meno del loro porre alcune opere in presenza, nello hic et nunc; del loro costruire luoghi unici, esistenzialmente determinati, come risultato d’un percorso, d’una specifica spazialità (aptica), d’un allestimento, ecc.
Questo fare-luogo (produrre differenza) va perduto in un museo cosiddetto virtuale. Dovremmo riflettere sul tipo di esperienza che vi si determina. Un’esperienza duplice, ovvero fisica e digitale.
Un esempio (per quasi tutti ancora in fase “traumatica”) proviene dall’impegnarsi in una lezione online, comprendendo che non si tratta d’una sorta di conferenza recitata nel vuoto della propria stanza, oppure della registrazione di qualcosa come un documentario, ma della difficile ricerca d’un rapporto fra “vicino” e “lontano”.
Un altro esempio, oramai ben più assestato, proviene dall’ambito dei videogiochi. Colei/colui che gioca è nel proprio ambiente effimero, respira l’aria della propria stanza seduto su un supporto familiare, sedia o poltrona; allo stesso tempo la visualizzazione sullo schermo la/lo lancia surrettiziamente in un ambiente in un certo senso ancora più effimero, ma durevole in quanto reiterabile. Un ambiente che simula spazi esistenti o disegna luoghi immaginari.
È così, per i musei virtuali? La/lo astante per una breve porzione di tempo intrattiene un rapporto privilegiato con un’opera posta in una sede estranea alla sua familiarità, al suo quotidiano (il museo, appunto, con i propri spazi e allestimenti). La scomparsa di quel rapporto viene bilanciata dall’istituirsi d’una diversa relazione con l’immagine dell’opera (e non con l’opera)?
È in questione un mutamento percettivo e perciò antropologico. L’ambivalenza della modificazione concerne la possibilità di aprire un ambito spiritualizzato a partire dalla compiuta dematerializzazione a cui sono assoggettate le immagini, e allo stesso tempo deriva dall’impossibilità di istituire una relazione che non sia mediata da un dispositivo e che quindi possa ipotizzarsi come non essenzialmente artefatta, predefinita, perfino impositiva, là dove il nostro sensorio è simultaneamente potenziato e svalutato.
Si tratta della condizione generica in cui siamo immersi, da qualche anno. La questione dei musei virtuali rinvia dunque, come una allegoria benjaminiana, all’intera compagine di ciò che decideremo del mondo e del nostro esser-lì negli anni futuri.
Giuseppe Frazzetto
Giuseppe Frazzetto insegna presso l’Accademia di Belle Arti di Catania.
La sua attività di storico e teorico è orientata alla delineazione d’un ambito estetico e antropologico in cui sia possibile tentare una “guarigione” dell’arte. Di conseguenza propone un metodo inusuale, orientato alla ricerca dei frammenti del sensato dispersi nelle pratiche artistiche propriamente dette, negli usi delle tecnologie digitali, nelle immagini che accompagnano o determinano la vita quotidiana.
Curatore di mostre, collaboratore di vari quotidiani e riviste specializzate, ha pubblicato (fra gli altri) i volumi Molte vite in multiversi. Nuovi media e arte quotidiana, Mimesis 2010; Epico Caotico. Videogiochi e altre mitologie tecnologiche, Logo Fausto Lupetti 2015; Artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione, Logo Fausto Lupetti 2017.
Biblioteca Arabo Sicula, 2001
Antonio De Luca e Stalker
Installazione brani documentari, serigrafie su cristallo
Collezione Fondazione Orestiadi